All’inizio del nuovo millennio, la carbonara è completamente diversa dalla ricetta originale degli anni Cinquanta. Oramai la sostituzione del binomio guanciale e pecorino nei confronti di pancetta e parmigiano era praticamente completata. Ma per arrivare alla carbonara odierna deve succedere ancora qualcosa.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il picco di utilizzo della panna si era registrato negli anni Ottanta, andando a scomparire nei successivi Novanta con gli ultimi colpi di coda, quando si arriva a distinguere la ricetta della carbonara, rispetto a quella della carbonara con la panna, come avviene nel ricettario di Nuvoletti del 1996. Questo matrimonio iniziato nel 1960 non ha resistito all’avvento del nuovo millennio.
La scomparsa della panna non ha coinvolto solo la carbonara, ma un po’ tutta la cucina, ad eccezione dei dolci, dove il suo utilizzo è stato comunque ridimensionato. In generale, le salse coprenti, grasse e tendenzialmente dolciastre che avevano conosciuto il loro apogeo con i cocktail di scampi, i filetti al pepe verde e le pennette alla vodka, lasciano il posto a condimenti più leggeri e freschi che esaltano il sapore dell’ingrediente principale. A volte scompaiono completamente a favore di un solo filo d’olio (magari ricercatissimo) in una cucina che lavora per sottrazione, ma pone enorme attenzione alla qualità delle materie prime. “Più mercato, meno cucina” è stato il mantra di quegli anni che ha preso corpo nella grande ristorazione per tracimare in seguito nelle cucine di tutti gli italiani. Se oggi trovate al supermercato quattordici tipi di sale, ventotto oli extravergine e la pasta di grano duro Senatore Cappelli trafilata al bronzo essiccata all’ombra per settandue ore e imbustata a mano, lo dovete (nel bene e nel male) a quella rivoluzione gastronomica.
Questo cambiamento di prospettiva ha radici lontane ed è unanime il riconoscimento a Gualtiero Marchesi di avere portato un nuovo modo di concepire la gastronimia nel nostro paese. Grazie a Lui la rivoluzione francese della nouvelle cuisine si è innestata nel panorama gastronomico italiano fin dall’apertura del suo ristorante milanese nel 1977. Lì nasce la sperimentazione della cosiddetta “Nuova cucina italiana” dove in primo piano c’è la qualità degli ingredienti, la tecnica e la presentazione del piatto. Fa un po’ sorridere se si pensa che proprio la carbonara del grande chef registra la più alta quantità di panna dell’intero panorama italiano, ma anche se può apparire una contraddizione, la sua rivoluzione ha cambiato il modo di concepire la grande cucina. Inutile dire che i cuochi superstar che oggi invadono gli schermi televisi gli devono qualcosa, anzi parecchio.
La nascita della Nuova cucina italiana, fu accompagnata anche da una nuova sensibilità più generale ispirata ai principi salutistici che faceva appello a uno stile di vita sano. Come sempre (da intendere in senso letterale, almeno dal tempo di Ippocrate) la medicina ha avuto una grande influenza nella costruzione della dieta e questo movimento è stato supportato dalle esigenze di prevenzione delle patologie legate ai moderni stili di vita. A questo si è ulteriormente sommata l’influenza della cultura New age che entra prepotemente nelle scelte alimentari degli italiani a partire dalla fine del secondo millennio.
Ciò ha comportato, da un lato l’espansione a macchia d’olio delle diete vegetariane e vegane in tutte le loro declinazioni e dall’altro i richiami a un passato mitico e idealizzato in cui l’uomo seguiva i ritmi delle stagioni ed era connesso con il territorio in cui viveva. Le ideologie naturiste/salutiste/vegetariane che nel passato erano state associate ad alcuni movimenti assolutamente di nicchia, hanno interessato sempre più larghe fette di popolazione, con un’influenza reciproca rispetto alla nouvelle cuisine e i suoi epigoni che sopravvivono, anzi prosperano, tutt’oggi.
In Italia questa spinta ideologica ha dovuto fare i conti con due fenomeni che, in parte, si contrastano: da un lato la revisione dell’alimentazione nel senso di una maggiore semplicità, leggerezza, stagionalità e attenzione al territorio; dall’altro la conservazione di un patrimonio di ricette regionali tradizionali tanto diffuse, quanto profondamente amate.
La revisione in senso salutista non ha avuto effetti sulla carbonara che ha mantenuto inalterato il proprio carattere che la vuole saporita, calorica, grassa e, possibilmente, servita in porzioni abbondanti, in aperto contrasto con le logiche dietetiche più moderne.
Dall’altro lato, la deriva iniziata negli anni Ottanta che esalta i valori di territorio e tipicità è entrata in un percorso di “purismo” della preparazione con l’effetto eliminare tutto ciò che non appartenesse alla triade guanciale-pecorino-uovo. Ciò che si discosta minimamente da questa (nuovissima) ortodossia è sottoposto a feroci critiche e la panna, ovviamente, è stata il bersaglio preferito dai sacerdoti di questa nuova religione gastronomica.
La carbonara “ideale” cercata dai puristi ovviamente non è mai esistita, frammentata in una miriade di ricette tutte diverse e segnata da un’evoluzione che ne ha stravolto la composizione nel corso del suo mezzo secolo di vita. Ma si sa, quando la storia non viene in aiuto all’ideologia, è l’ideologia che dà una spintarella alla storia. Il risultato è palese e basta guardare i siti che si occupano di cucina per trovare continui riferimenti alla carbonara “vera”, “autentica” e “originale”, tutti basati su un’idea mitica di questo piatto che non ha alcun riferimento storico reale.
La logica è semplice, quanto fantasiosa, e si basa su una concezione del passato come economia fondamentalmente agreste e autarchica per cui la carbonara, essendo nata a Roma, dovesse utilizzare esclusivamente i prodotti tipici del territorio, ovvero il pecorino e il guanciale. I più rigidi propugnatori di questa fede, immaginano umili e operosi pastori (o carbonai) che partono da casa con la gavetta colma di spaghetti conditi con pochi ingredienti poveri, ma genuini, come il formaggio delle pecore in transumanza, le uova raccolte ancora tiepide nel pollaio e il maiale macellato a dicembre. In alcuni casi un tuffo nella realtà risveglia l’idea che la carbonara sia nata alla fine della guerra con uova in polvere e bacon americano, ma la leggenda vuole che immediatamente dopo si siano usate le specialità locali e nient’altro, come se la capitale nel dopoguerra fosse un isolato borgo medievale.
L’invenzione di questa tradizione è accompagnata dalla nascita di un atteggiamento di assoluta intransigenza nei confronti della composizione della ricetta, con toni che rasentano l’intolleranza, contro chiunque osi proporre una versione alternativa rispetto alla sacra triade. Pancetta e parmigiano non sono scomparsi solo dal piatto, ma hanno subito una vera e propria damnatio memoriae che li ha condannati all’oblio anche nella storia della ricetta.
Questa narrazione mitica della carbonara ha avuto l’effetto di influenzare la composizione degli ingredienti della carbonara proposta nelle riviste, nei ricettari e in rete. È facile constatarlo con un semplice esperimento che consiste nel prendere alcuni famosi siti web di cucina e confrontarne le vecchie versioni (per chi non lo sapesse esiste un archivio del web consultabile da tutti) con le pagine attuali.
Nella mia ricerca ho preso in esame quattro siti di cucina attivi da diversi anni e questo è il risultato.
- Giallozafferano.it: tra la prima versione del 30 marzo 2009 e quella attuale (pubblicata il 31 marzo 2017) non si registrano grandi differenze in quanto già nel 2009 appariva una ricetta con pecorino e guanciale. Calano le quantità (il guanciale passa da 43 g a 35 g e il pecorino da 29 a 17 ogni etto di spaghetti) ma soprattutto ora vengono utilizzati i soli tuorli delle uova (6 su 320 g di pasta, un record nella storia della carbonara) favorendo la cremosità del condimento.
- Ricettedellanonna.net: la prima versione è del 29 luglio 2010, mentre quella attuale è stata caricata l’11 agosto 2016. La pancetta affumicata è sostituita dal guanciale, mentre il pecorino è rimasto invariato, raddoppiando solo le quantità (da 12 a 25 g ogni etto di pasta). Le uova sono sempre utilizzate intere nella misura di una ogni etto di pasta.
- Buonissimo.org: dal 20 giugno del 2013 alla pagina attuale (29 novembre 2017) è rimasta invatiata l’alternativa proposta di pancetta affumicata o guanciale, mentre il parmigiano è stato sostituito dal pecorino, diminuendone la quantità di qualche grammo (da 20 a 13) e le uova non vengono più usate intere, ma solo il tuorlo.
- Lacucinaitaliana.it: in meno di due anni (dal 3 ottobre 2015 al 30 maggio 2017) l’indicazione “pancetta tesa o guanciale” è stata corretta favorendo il solo guanciale. Il resto della ricetta è rimasta identica, con una miscela di formaggi che prevede parmigiano e pecorino e i soli tuorli d’uovo.
Seppur parziale, questa panoramica rende l’idea di una trasformazione iniziata qualche decennio fa, ma tuttora in atto, che predilige il guanciale, il pecorino e i soli tuorli d’uovo alle altre possibili alternative.
Siccome i richiami alla “vera” carbonara non affondano affatto nella realtà storica del piatto, i più esperti direbbero che è in atto un tentativo di invenzione della tradizione sostenuto da un sentimento nazional-popolare in cui converge una forte spinta identitaria non solo romana, ma dell’intero Paese. Una delle cause di questo movimento è che la carbonara, come pochi altri piatti, è conosciuta, replicata e storpiata in tutto il mondo, per cui gli italiani si sentono “in dovere” di proteggerne le caratteristiche e la primogenitura. Per fare ciò è necessario però avere una ricetta condivisa, con ingredienti fissi e un’origine storica ben delineata. Purtroppo per la carbonara tutto ciò non esiste, pertanto è necessario che venga creato un consenso nei confronti di un’unica versione.
Per complicare le cose va detto che l’eliminazione della panna tra gli ingredienti ha avuto l’effetto di complicare notevolmente l’esecuzione di questo piatto. Ottenere quella vellutata cremosità che avvolge lo spaghetto intervallata dalle sapide striscioline croccanti di guanciale utilizzando le sole uova e formaggio non è semplice. Sbagliando di qualche grado o pochi secondi l’operazione di mantecatura della pasta si rischia di avere degli spaghetti viscidi conditi con l’uovo crudo, oppure di fare una frittata.
La difficoltà tecnica di questa ricetta ha innescato un dibattito che ha coinvolto tutti, dai semplici appassionati ai grandi cuochi, mentre la diffusione dei blog di cucina e del foodporn sui social ha fatto il resto. Su questo aspetto è intervenuta la chimica e la tecnica, applicando alcuni principi già utilizzati, soprattutto in pasticceria, per ottenere una salsa dalla consistenza ideale per avvolgere la pasta.
Il primo autore a gettare le basi per la “carbonara scientifica” è stato Dario Bressanini nel 2008 all’interno della sua rubrica “Scienza in cucina” (l’articolo originale lo potete trovare qui). Chi ancora non conosce Dario Bressanini faccia ammenda e vada a leggersi le sue pubblicazioni, tanto interessanti quanto semplici da comprendere, che hanno aperto nuovi scenari nella pratica culinaria alla portata di chiunque abbia una minima pratica con i fornelli e possieda un termometro per alimenti.
Nel 2017 è intervenuto Gianfranco lo Cascio, “guru” del sito bbq4all.it che ha descritto un procedimento per ottenere la carbonara perfetta attraverso una cottura a bassa temperatura del tuorlo d’uovo (la potete trovare su youtube, ripresa anche dal sito Dissapore). Anche in questo caso non sono mancate le (inutili) proteste dei gastronazisti per i quali ogni tipo di innovazione è vista come un atto di lesa maestà alla “vera” carbonara.
In questo momento storico la carbonara è in balia delle forze contrastanti di chi ne vorrebbe fare un piatto nazionale protetto dall’UNESCO e quanti ne accettano un’identità fluida e passibile di variazioni (tutto sommato minime). Il dibattito è quantomai acceso e basta dare un’occhiata alle pagine dei social (una per tutte, quella Facebbook della Federazione Italiana Cuochi) o nei commenti ai vari blog a per capire che i toni stanno arrivando al limite dell’esasperazione. Come diceva Winston Churchill “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Sulla carbonara non siamo da meno.
Fino qui abbiamo parlato della storia della carbonara, ma rimane da risolvere il mistero del nome che è stato dato a questo piatto e le ipotesi sulla sua invenzione. Per questo vi rimando al capitolo finale che sarà pubblicato il prossimo 6 aprile, giorno dedicato al Carbonara Day