Articolo pubblicato sul Gambero Rosso on line – febbraio 2019
L’origine del vitello tonnato, un piatto che con il tempo ha subito moltissime varianti.
Le vicende che determinano la nascita delle ricette tradizionali sono spesso fumose e con risvolti inaspettati. La creazione del vitello tonnato (o tonné che dir si voglia) è sicuramente una delle più curiose, frutto di un percorso storico che ha portato all’accostamento di due ingredienti gastronomicamente molto distanti.
Grasso e magro
A tavola la divisione tra carne e pesce è sempre stata particolarmente marcata e sono rare le ricette tradizionali che prevedono la compresenza di questi due ingredienti. In gran parte questo è dovuto ai precetti che hanno segnato i costumi alimentari dal Medioevo alla fine dell’Ottocento che vedevano la contrapposizione del cibo “di grasso”, rappresentato dalla carne, al cibo “di magro” costituito per antonomasia dal pesce. E ancora oggi, non solo i piatti, ma anche i menu e la sequenza delle portate all’interno del pasto casalingo di solito non contemplano la convivenza delle due classi di alimenti.
Il caso del vitello tonnato rappresenta un’eccezione
Il piatto è nato grazie a un cuoco particolarmente estroso che ha voluto sfidare le convenzioni associando il pesce e la carne? Oppure esiste una tradizione sotterranea che contravviene alle regole? Niente di tutto ciò, un po’ di tutte e due. Di certo la prima colpevole è l’acciuga.
L’acciuga e il vitello
Questo piccolo pesce, che da sempre viene conservato sotto sale, veniva utilizzato come insaporitore della carne o, più spesso, delle salse destinate alla carne a partire dal Settecento. Ad esempio, nel “Cuoco piemontese” del 1766 si ritrovano diverse ricette che prevedono l’uso delle acciughe come il “Petto di vitello all’alemanna” condito con una salsa a base di capperi, alici, fegato di volatile, prezzemolo e carota o ancora le “Coste di vitello alla lionese” lardellate con acciughe, cetrioli e fettine di lardo. Tra le salse appare anche la “Remoulade” con prezzemolo, aglio, cipolla, acciuga, sale, pepe e senape, diluiti in olio e aceto che si può considerare un antenato dell’odierna gremolada lombarda.
Il tonno
Nello stesso periodo il tonno era considerato una specialità ittica non particolarmente prelibata che veniva commercializzata per lo più sottolio o sotto aceto. Da fresco era ritenuto piuttosto indigesto e Francesco Leonardi nel suo “L’Apicio Moderno” del 1790 consiglia di lasciarlo sotto sale alcune ore prima di cucinarlo in modo che “la carne averà un gusto più grato, e si avvicinerà alquanto a quella del vitello”.
Né carne né pesce
Questa somiglianza non passerà inosservata e sarà alla base delle ricette che daranno vita all’antenato del vitello tonnato. Infatti le prime preparazioni ottocentesche non mescolano il pesce con la carne, ma propongono di trattare il vitello “come il tonno”, sottoponendolo a una breve salatura per poi lessarlo e infine conservarlo sottolio. Uno degli esempi più antichi proviene da un testo francese, il “Dictionnaire de cuisine et d’économie ménagère” di M. Burnet del 1836 con la ricetta dal titolo inequivocabile “Manière de donner au veau l’apparence et le goût du thon mariné” (Maniera di dare al vitello l’aspetto e il gusto del tonno marinato). In questo caso il vitello viene messo sotto sale per qualche giorno con aromi vari e alcuni filetti di acciuga, in seguito lessato nel vino bianco e infine fatto riposare immerso nell’olio in un recipiente di vetro, per essere gustato come il tonno.
La ricetta del “Vitello ad uso tonno” sarà ripresa con minime varianti dal precedente francese ne “Il nuovo cuoco ticinese economico” di Luigi Franconi nel 1846 e da Felice Luraschi nel “Nuovo cuoco milanese economico” del 1853. Quest’ultimo autore suggerisce inoltre di servirlo con olio e limone e una “salsa d’anchioda” a base di brodo di vitello, cipolla, acciughe e capperi addensata con farina di semola.
Un dermatologo in cucina
Gli ingredienti della salsa d’accompagnamento ci sono ormai tutti, manca solo il tonno. È qui che interviene un autore che compie il piccolo, ma decisivo passo finale. Il suo nome è Angelo Dubini, Milanese, di professione medico e ricercatore, ricordato per avere scoperto un parassita intestinale fino ad allora sconosciuto ed essere stato primario di dermatologia all’Ospedale Maggiore di Milano.
Oltre a numerosi saggi di medicina, Dubini pubblica nel 1862 un ricettario dal titolo “La cucina degli stomachi deboli: ossia pochi piatti non comuni, semplici, economici e di facile digestione con alcune norme relative al buon governo delle vie digerenti” che contiene tre diverse ricette per il “Vitello tonnato”. Le preparazioni, come l’autore, sono fuori dagli schemi e rinunciano all’idea di conservare il vitello sottolio, per cui la carne stufata viene semplicemente servita fredda. Una di queste, per la prima volta, utilizza una salsa composta da tonno e acciuga tritati che viene diluita con il fondo di cottura del vitello insieme a olio e limone. Una volta abbandonato il proposito di simulare il tonno sottolio con la carne di vitello, deve essere sembrato piuttosto naturale associare direttamente i due alimenti nel piatto, oltre che nel titolo della ricetta.
Il ruolo dell’industria conserviera
Probabilmente ha giocato un ruolo determinante anche lo sviluppo dell’industria conserviera che stava muovendo i primi passi nell’inscatolamento del tonno sottolio. Il metodo, derivato dall’invenzione di Nicolas Appert, si diffuse prima in Francia e in Inghilterra per approdare poi in Italia. Tra i pionieri del nostro paese si ricorda lo stabilimento Carpaneto e Ghilino di Genova che iniziò a utilizzare le scatole di latta per la conservazione del tonno sottolio proveniente dalla Sardegna. Una strada che fu a breve seguita da molti altri e rese disponibile questo alimento in tutte le case.
La versione del vitello cosparso di salsa al tonno fu presto ripresa da altri autori, tra i quali l’Artusi nel 1891 il quale consiglia di lessare il vitello e, una volta freddo, lasciarlo marinare per due o tre giorni coperto da una salsa composta da tonno, acciughe, capperi, olio e limone. Una versione particolare viene proposta da Ada Boni nel “Talismano della felicità” del 1927 che cuoce in pentola il vitello insieme a cipolla, tonno, alici e vino bianco per poi ottenere la salsa dallo stesso fondo di cottura diluito con olio e succo di limone.
La stessa ricetta è ripresa anche nella ricetta “Vitello tonnato n. 1” de “Il cucchiaio d’argento” del 1950, mentre nel “Vitello tonnato n. 2” la salsa viene arricchita con la maionese, una novità per renderla più vellutata e cremosa. Questa versione, oggi la più canonica e utilizzata, incontrò una grande successo presso famiglie e ristoratori, come dimostra anche l’inserimento della ricetta tra le specialità lombarde da Anna Gosetti della Salda ne “Le ricette regionali italiane” del 1967, dove consiglia di preparare la salsa con una “abbondante maionese”.
La scomparsa del vitello sottolio
La popolarità del vitello tonnato è stata tale da mettere in ombra la ricetta originale del “vitello a uso tonno” da cui aveva tratto origine. Questo piatto scomparve definitivamente dai ricettari nel giro di un paio di decenni, ma esiste ancora oggi una preparazione molto simile in cui si utilizza la carne di coniglio cotta e conservata sottolio chiamata “tonno di coniglio”.
Per chi volesse riproporre la ricetta originale per un gustoso e inusuale antipasto freddo, può trovare di seguito la trascrizione del “Vitello ad uso tonno” di Luigi Franconipubblicata ne “Il nuovo cuoco ticinese economico” del 1846: “Prendete una fesa di vitello, battetela alquanto, involgetela in una salvietta, lasciatela nel sale minuto per due giorni, levatela dal sale, lavatela in acqua fresca, fatelo cuocere in brodo liscio con una foglia di alloro, indi levatelo dalla cottura, prontate dell’olio fino quasi bollente, lasciatelo dentro a inzuppare non meno di tre giorni, indi servitelo con olio e spremuta di limone, guernito di insalata qualunque cruda”.