Articolo pubblicato sul Gambero Rosso on line – giugno 2019
SIAMO ANDATI A SPULCIARE RICETTARI, LIBRI E VOCABOLARI PER CAPIRE LE ORIGINI DEL COUS COUS.
Il cous cous, nonostante le origini africane, rientra a pieno titolo nelle tradizioni gastronomiche e culturali nostrane (c’è anche un festival ultraventennale, a lui dedicato, a San Vito Lo Capo). Ma quali sono le origini?
Cous Cous: le origini
Le tracce della nascita del cous cous si perdono nel passato e i suoi luoghi d’origine si possono stabilire tral’Africa subsahariana e le coste magrebine in epoca medievale. Questo alimento ha molte caratteristiche in comune con l’antenato della pasta italiana da cui si sono evoluti tutti i formati che oggi conosciamo. Con questi condivide anche l’esigenza di rendere agevole la conservazione dei cereali, in modo da poter essere cucinati anche dopo un lungo periodo di stoccaggio, preoccupazione comune a tutte le popolazioni che avevano l’esigenza di affrontare lunghi viaggi in mare.
Cous cous: le prime testimonianze italiane
Le prime testimonianze italiane sul cous cous risalgono alla metà del Cinquecento. Il primo a farne menzione è Giovanni Battista Ramusio che, esattamente nel 1550, pubblica il primo trattato geografico dell’età moderna “Delle navigazioni et viaggi” in cui raccoglie scritti e testimonianze di diversi autori. Nel capitolo dedicato all’Africa scritto da Giovanni Leone dei Medici, un berbero naturalizzato italiano, descrive i costumi alimentari delle popolazioni marocchine in questi termini “sogliono anchora mangiare carne bollita, et insieme cipolle et fave, ò pure l’accompagnano con un altro cibo, dito da essi Cuscusu”.
Cottura e modo di servire il cous cous sembrano immutati da almeno mezzo millennio
Nel corso di pochi anni vengono dati alle stampe almeno altri due volumi che riportano l’uso del cous cous nelle coste africane affacciate sul Mediterraneo: il primo è il bolognese Leonardo Fioravanti nel suo “Dello specchio di scientia universale” del 1567, mentre il secondo è Francesco Sansovino nel “Del governo et amministratione di diversi regni” del 1578. Quest’ultima testimonianza è molto interessante perché descrive esattamente il procedimento con cui viene cucinato il cous cous: “Ma il verno mangiano carne a lessa, insieme con quella vivanda che è detta cuscusu, la quale si fa di pasta come i coriandoli, et lo cuocono in certe pignatte forate per ricevere il fumo di altre pignatte, dopo vi mescolano dentro butiro, et lo bagnano di brodo.” Come si può notare, la tecnica di cottura e il modo di servirlo sembrano immutati da almeno mezzo millennio.
Il cous cous sbarca in Sicilia
Tutte le fonti del periodo puntano decisamente sulle coste della Barbaria (che vanno dall’Oceano Atlantico fino al confine con l’Egitto) per localizzare i luoghi di produzione e consumo di questo alimento. Per collocare il cous cous sulle coste italiane è necessario attendere il 1777 con una testimonianza inserita un secolo più tardi all’interno di un saggio di antropologia sugli usi e i costumi del popolo siciliano a cura diGiuseppe Pitré. Nel racconto viene riferito un episodio in occasione di un matrimonio a Trapani “[fu] regalata al parroco una pietanza chiamata cuscusu colla carne di porco, vivanda in Sicilia dai saraceni lasciata ”.
La cronaca prosegue descrivendo la lavorazione della semola, identica in tutto a quella tradizionale utilizzata nel Nordafrica:“formasi con della semola in un vaso, ove di tanto in tanto spruzzandosi dell’acqua, e strisciandovisi leggermente la mano in giro, in minutissime coccoline si riduce; quindi su una pentola, o sia dentro la sola carne a bollire, un’altra con ispessi e piccoli buchi nel fondo e che la preparata semola contiene, assettandosi, al caldo fumo di quella, che le sta sotto si cuoce”.
Cous cous alla trapanese, condito con il pesce
Rimane difficile stabilire se la cultura trapanese del cous cous sia veramente un antico lascito della dominazione araba (che ha avuto un’influenza sulla parte occidentale fino alla metà del Duecento) oppure sia dovuta agli scambi culturali successivi, ma sta di fatto che proprio nel territorio trapanese il cous cous condito con il pesce è tutt’oggi una specialità tradizionale.
Nello stesso periodo storico purtroppo i ricettari non forniscono ulteriori informazioni, probabilmente perché sono orientati a descrivere altri orizzonti geografici – il Settentrione d’Italia, in particolare il Piemonte e la Lombardia e, per il Sud, la sola città di Napoli – e sociali – in primis la cucina aristocratica, poi quella nascente borghese.
Cous cous nel Vocabolario siciliano etimologico
Ci dicono qualcosa invece i dizionari come il “Vocabolario siciliano etimologico” del 1785 che registra la voce “cuscusu”: “Dicciano una sorta di pasta per lo più fatta di semola ridotta in forma di piccolissimi granelli, che cotta si mangia in minestra.” A partire dalla fine del Settecento si moltiplicano invece le citazioni letterarie e ne è un esempio il riferimento non proprio entusiastico di Edmondo de Amicis nel resoconto di un suo viaggio in Africa nel 1875 pubblicato con il titolo di “Marocco”.
Cous Cous: le tipologie
Pochi anni più tardi, nel 1891, Pellegrino Artusi riporta la ricetta completa per preparare il “cuscussù”, anche se non risparmia le critiche all’estrema laboriosità necessaria per ottenerlo. Mentre questo autore ne riferisce come “usato in Italia per minestra dagli israeliti”, il primo che ne parla come un piatto entrato a fare parte della tradizione sicula è il Cougnet nel 1910, in uno dei primi ricettari regionali del nostro Paese. Ma il piatto magrebino ha messo radici anche in altre zone d’Italia, come in Sardegna, nell’isola di San Pietro, dove il “cascà” venne introdotto a seguito della fondazione della città di Carloforte nel 1738 da parte di pescatori di corallo liguri che abbandonarono l’isola di Tabarka di fronte alle coste tunisine. Questa particolare versione viene condita solo con vegetali (come il cashcà della cucina tabarchina), escludendo la carne tipica della tradizione araba e il pesce della tradizione sicula. Infine esiste anche una tradizione livornese del “cuscussù” portata probabilmente in città dagli ebrei sefarditi che viene arricchita da verdure in umido e polpette di vitello.