Articolo pubblicato sul Gambero Rosso on line – dicembre 2019 – ABBIAMO PROVATO A FARE LE RISSOLE ALLA NAPOLETANA, OVVERO LE ANTENATE DEI PANZEROTTI E DELLA PIZZA FRITTA.
Alcune specialità sono state tramandate attraverso le generazioni, altre sono profondamente cambiate nel corso degli anni, altre ancora sono semplicemente scomparse dopo una lunga e gloriosa stagione. Noi abbiamo deciso di recuperare alcune di queste, dal sugo di carne, al ragù di Pellegrino Artusi, ai Tortelli di enula. È la volta delle rissole e dei panzerotti.
Torte e tortelli medievali
Le torte e i loro corrispettivi in miniatura, ovvero tortelli e similari, sono essenzialmente un’invenzione della cucina medievale. L’idea di fondo è quella di una focaccia che racchiude il proprio intingolo: pane e companatico non sono separati, ma uniti nella stessa preparazione.
Le ricette più antiche di queste specialità spesso non fanno distinzione tra i metodi di cottura, che invece sono alla base della definizione attuale dei diversi piatti.
Secondo la gastronomia moderna ne esistono tre tipologie: al forno, come i calzoni o le empanadas; fritte in un grasso vegetale o animale come la pizza fritta (trovate uno speciale nel mensile di dicembre) o i panzerotti; infine lessate, come le decine di varianti di pasta ripiena che conosciamo in Italia.
Il Rinascimento e le sue specialità
Nel Rinascimento questi piccoli pasticci ripieni si moltiplicano in diverse forme e tipologie. Prendendo in considerazione solo le specialità destinate a essere fritte o cotte al forno, il ferrarese Cristoforo Messisbugo nel 1549 ne enumera diverse ben distinte tra loro: tortelli, cascosse, casatelle, ofelle, stellette, pastatelle e fiadoncelli.
Nel corso dei secoli queste ricette sono scomparse o molto mutate, come ad esempio i fiadoncelli, gli antichi progenitori degli attuali fiadoni abruzzesi. A differenza di quelli attuali, a base di formaggio, in quelli antichi predominava un gusto dolce e speziato, grazie all’uva passa, allo zucchero e alla cannella che venivano mescolati alla carne e agli altri ingredienti.
Nel frattempo in Inghilterra c’erano i risshens
Circa un secolo prima del trattato del Messisbugo, in Inghilterra si è già affermata un’altra specialità destinata ad avere grande successo. Si tratta dei risshens, piccoli pasticci di carne fritti descritti in un manoscritto di metà Quattrocento (Sloane ms. 1986) attualmente conservato nella British Library. Nonostante il testo originale sia in rima e di non immediata comprensione, si potrebbe tradurre così: “Prendi la carne di maiale macinata e soffritta, aggiungi pepe e uova sbattute, metti il lievito (dentro la pasta), sarà leggera come una bolla, avvolgi (la carne) in un rotolo (di pasta) come un piccolo pesce, friggilo e adagialo nel piatto”.
E in Francia le rissolle
La stessa specialità gastronomica la incontriamo un paio di secoli più tardi in Francia con il nome di rissolle. Questi piccoli ravioli fritti di pasta brisée farciti con carne tritata (o pesce per i giorni di magro) saranno destinati a diventare molto famosi anche in Italia, grazie al successo della cucina d’Oltralpe. La ricetta appare nel 1651 all’interno del “Le cuisinier François” di Francois Pierre de La Varenne, il primo autore a dare alle stampe un libro di cucina francese dopo oltre un secolo di silenzio.
Il successo di questo libro fu planetario e se ne contano almeno 61 edizioni in diverse lingue nei successivi cento anni. Come se non bastasse, alcuni editori attratti dalla fama del ricettario, utilizzarono il titolo e il nome dell’autore per dare vita a pubblicazioni che poco avevano a che fare con l’originale. Proprio una di queste fu oggetto di traduzione in italiano nel 1682 e contribuì a diffondere la fama della cucina francese (e delle rissolle) nella nostra penisola.
Un piatto famoso, ma non in Italia
Oggi in Italia questo piatto è completamente scomparso, ma sopravvive ancora in svariate cucine nazionali, sotto diverse forme. In Francia e Portogallo ha mantenuto grosso modo la forma originale di piccolo pasticcio farcito, mentre in Inghilterra e Irlanda è composto dal solo ripieno, in forma di polpetta di carne, impanato e fritto. Nello stesso modo si cucina anche in Australia e Nuova Zelanda, mentre in Indonesia la carne tritata è avvolta in una sorta di crêpe.
Le rissole alla napoletana
Spazzate via tutte le specialità rinascimentali italiane dall’ondata della gastronomia francese, alla fine del Settecento si continua a usare la parola rissole (che nel frattempo ha perso una “l”) per indicare questo tipo di preparazioni. Francesco Leonardi, uno dei più famosi cuochi della propria epoca, ne descrive diversi tipi, iniziando proprio dalle “Rissole alla napoletana” che hanno la peculiarità di essere ripiene di formaggi e prosciutto, anziché di carne. La ricetta (che trovate sotto) si conclude in maniera significativa con la frase: “In Napoli sono chiamate queste Rissole Panzarotti”.
I panzerotti napoletani
Sarà il napoletano Ippolito Cavalcanti, nella quarta edizione della sua “Cucina teorica pratica” datata 1844, a dare la ricetta definitiva dei panzerotti: “Prendi mezzo rotolo di fior di farina, mezzo quarto di sugna, ed impasterai con acqua, ed un ovo intero, maneggiandola bene, la distenderai come la pasta de’ tagliolini, e ne farai una tela; farai una farsa di ovi battuti, provola grattugiata, ed un trito di mozzarelle mischiato tutto insieme, e con questa farsa ne riempirai i panzerotti, che li taglierai, o con lo sperone proprio, o con qualche stampa, e quindi li friggerai di bel biondo colore”. Oltre a questi, l’autore ne descrive altri tipi, tra cui anche i “Panzerotti bruschi” con il prosciutto, del tutto simili a quelli del suo predecessore Francesco Leonardi.
Da panzerotto a calzone
La ricetta del Cavalcanti sarà replicata con minime varianti fino ai primi del Novecento e viene registrata come “Panzerotti napoletani” da Alberto Cougnet in “L’arte cucinaria italiana” del 1910. L’autore è anche uno degli ultimi a inserire le rissole – ora chiamate rossole – nel suo ricettario, una preparazione ormai riservata all’alta cucina: i ripieni vanno dalle ostriche al fagiano, fino ai tartufi e animelle. Successivamente il panzerotto appare ne “Il Talismano della felicità” di Ada Boni del 1925 con il titolo “Piccoli ‘calzoni’ ripieni alla napolitana”, sancendo uno slittamento lessicale che continua a tutt’oggi a Napoli che vuole la parola “panzerotto” sostituita con “calzone” o “pizza fritta” (della pizza alla napoletana ne abbiamo parlato qui).
Nel 1950 i “piccoli” calzoni, diventano il “Calzone alla napoletana” de “Il cucchiaio d’argento”, mentre Anna Gosetti, nel suo “Le ricette regionali italiane” del 1967, fa rientrare i panzerotti tra le specialità pugliesi e non più napoletane – aggiungendo il pomodoro nel ripieno – mentre nel capitolo dedicato alla città partenopea, i piccoli calzoni fritti sono ridotti a una nota all’interno della ricetta del classico calzone al forno.
La ricetta delle Rissole alla Napolitana di Francesco Leonardi
Abbiamo voluto sperimentare la prima ricetta delle “Rissole alla Napolitana” – ovvero panzarotti – di Francesco Leonardi nella versione de “L’Apicio moderno” del 1790. Oggi, come allora, li potete servire come antipasto.
Ingrediente per la pasta
340 g di farina (l’equivalente di una libbra romana)
110 g di burro (equivalenti a 4 once)
2 tuorli d’uovo
1 uovo intero
Sale
Acqua q.b.
Per il ripieno
150 g di mozzarella
100 g di provatura, formaggio laziale fatto con latte di bufala (se non riuscite a reperirla, sostituitela con lo altrettanta mozzarella)
30 g di caciocavallo stagionato
30 g di parmigiano
60 g di prosciutto in una fetta unica
1 uovo
1 cucchiaino di prezzemolo tritato
1 presa di noce moscata
1 macinata di pepe
Per la frittura
500 g di strutto
Iniziate con l’impasto tagliando a cubetti il burro freddo e mescolandolo con la farina – troverete l’operazione più semplice aiutandovi con un coltello – e infine aggiungete i tuorli e l’uovo intero.
Amalgamate il composto con la forchetta aggiungendo poca acqua a temperatura ambiente fino a raggiungere la densità voluta. Terminate impastando a mano sulla spianatoia, fino a che la sfoglia non diventa liscia ed elastica.
Infine formate una palla e mettetela a riposare almeno mezz’ora coperta da un panno o avvolta nella pellicola antiaderente.
Per il ripieno tritate la mozzarella e la provatura marzolina, grattugiate il parmigiano e il caciocavallo, tritate il prezzemolo e la fetta di prosciutto che avrete fatto sudare su una padella a fuoco basso un paio di minuti per lato.
Mescolate gli ingredienti in una ciotola aggiungendo una presa di noce moscata, una di pepe e un uovo intero.
Stendete la pasta in una sfoglia piuttosto lunga stretta con il matterello. Dovrà avere uno spessore di circa 2 mm (per essere precisi la ricetta originale suggerisce di tirarla allo spessore di un “Paolo”, una moneta che aveva un’altezza di circa 1,7 mm).
Posizionate dei mucchietti di ripieno sulla sfoglia e spennellatela di uovo negli spazi rimanenti, infine ripiegatela e saldate accuratamente le estremità.
Tagliate i panzerotti a forma di mezzaluna con la spronella e assicuratevi che i bordi siano ben chiusi, magari schiacciandoli con i rebbi di una forchetta.
Scaldate lo strutto in una padella dai bordi alti e assicuratevi che lo strutto sia in quantità sufficiente per immergere completamente i panzerotti. Friggetene pochi per volta a una temperatura compresa tra i 160 e i 170 gradi.
Girateli un paio di volte durante la cottura per ottenere una doratura uniforme ed estraeteli con cura aiutandovi con una ramina forata, facendoli asciugare su carta assorbente. Serviteli ancora caldi raccontando la storia del matrimonio tra le rissole francesi e i panzarotti napoletani.
Si ringrazia Giancarlo Gonizzi di Academia Barilla per la sua grande disponibilità, indispensabile per portare a termine le ricerche sulle fonti storiche.